Fahrenheit 365 è un cantiere di scrittura, nel senso che si sa quando si comincia, ma non si sa quando finisce. L’anno accademico inizia a ottobre e termina a luglio, ma si può iniziare in qualunque momento. Il Cantiere non chiude mai: nei mesi estivi si lavora a...

Mille non più (di) mille

Storie in mille caratteri



C'è la Storia con la S maiuscola, che unisce tutti i nostri respiri, le parole, i sogni, i passi... E poi ci sono le storie scritte con la s minuscola. E' la somma delle storie con la s minuscola a formare il percorso della Storia con la S maiuscola. Di seguito alcune storie pellegrine, altre che in qualche modo sono collegate l'una altra, a voi trovare il filo che le unisce...

San Francesco
(s...) Sopporto gli sguardi curiosi, i pensieri maliziosi, gli ammiccamenti. Sopporto le punte metalliche che mi lacerano la veste e incidono i piedi. Sopporto il solletico dei pennarelli. Perfino gli errori grammaticali. Sì, perfino quelli riesco a sopportare, anche se m’infastidiscono e deprimono. Accetto volentieri la pioggia che mi toglie la polvere da dosso, e che mi rinfresca d’estate. A volte, il delicato equilibrio fra la massa e la forza di gravità, fa sì che sembri che io pianga. Non significa niente, certo, non posso piangere, ma la credenza popolare, che mi associa alle umane pene, rende questa bizzarria alquanto poetica. E mai nessuno che passi quando ciò accade. E se qualcuno passeggia, mai che sporga il viso fuori dall'ombrello, che sollevi lo sguardo e dica… è un miracolo! Ma pazienza. Posso sopportare anche il maestrale insolente che oggi mi schiaffeggia senza rispetto. Ma quello che proprio non sopporto, è questo dannato piccione che ogni giorno mi caca in testa.

Giuseppe Corrado


Mia figlia
(s...) Avete visto mia figlia? Signore, ha visto mia figlia? Signora, lei ha visto per caso mia figlia? Ha gli occhi che ti leggono la vita, e il sorriso degli innamorati. Voi… voi avete visto mia figlia? Sembra un angelo, l’avete vista? E voi, lì, vicino al parapetto, scusate se vi disturbo, datemi un poco d’attenzione, vi prego. Avete forse visto mia figlia? Magari passa un corteo nuziale, sento i clacson festosi attraversare il viale delle Regine. Ne passano tutti i giorni, signori, ascoltatemi un poco. Ditemi, avete visto mia figlia? Anche lei è innamorata, fra qualche anno sfileremo con le macchine lucide e le coccarde bianche. Ma è ancora giovane, non l’ho mai vista piangere. Lo so che capiterà, capita a tutti di piangere, ma poi le ombre si dileguano e le rughe spariscono. Ci siamo passati tutti. Sarà così anche per lei. Però, che facce strane che avete. Sembra che indossiate maschere di dolore. Prestate attenzione, vi prego, ascoltate, avete visto mia figlia?

Giuseppe Corrado


Portami a casa
(s...) Papà, ti prego, portami a casa. Prometto che ti darò ascolto. Ti racconterò quello che mi passa per la testa, le parole che mi riempiono di sogni e paure, che il vento mi suggerisce. Ti dirò tutto, papà, e ascolterò i tuoi consigli, tu però portami a casa. Signor Maestrale s’è spacciato per buono, tante volte mi ha cullato e poi soggiogato. Ha una voce suadente, Signor Maestrale. Ha promesso che mi avrebbe sostenuto, e io gli ho creduto. E le chiome degli alberi sembravano nuvole verdi, e il marciapiedi un mare piatto. Scusami papà. Signor Maestrale mi ha preso in braccio e mi sono sentita amata. Che brutta cosa è l’amore. È una bugia che lascia senza fiato. Signor Maestrale mi faceva sorridere, mi ammaliava, mi faceva sentire apprezzata. L’ho seguito e ho volato, ma solo un attimo. Poi lui ha aperto le mani e sono precipitata. Le nuvole verdi si sono spezzate, il mare si è irrigidito, e ho perso tutti i denti. Scusa papà, se non ti ho ascoltato. Ti prego, portami a casa.
Giuseppe Corrado


La torre di Dio
(s8) Il maestrale soffiava forte all'interno della Torre di San Pancrazio, confondendosi con le grida delle streghe torturate dagli onesti uomini di Dio. Lui era lì a vegliare su di lei mentre agonizzava in preda agli spasmi. Le gambe candide e le braccia esili erano smagrite, ustionate, lacerate, coperte di lividi, rigate di sangue. Rannicchiata in posizione innaturale, contorta come una pianta rinsecchita per le fratture. I capelli luridi e sudati, appiccicati sul viso tumefatto. Si guardarono in un istante eterno. Quante volte era giunto alla sua anima attraverso quegli occhi blu? La creatura innocente, nonostante fosse stata barbaramente macellata, gli pareva ancora più bella. E era grottesco pensarlo proprio in quel frangente, ma era ciò che esprimeva: amore e bellezza come Gesù Cristo in croce. La strinse a sé e schiuse le ali per condurla via. Si riscosse dai suoi pensieri e riprese il cammino. Ormai era un angelo custode senza un’anima da custodire.  Da trecento anni.
Roberta Zucca

Sensazioni
 (s7) Uscire da ‘sto buco mi costa sempre più fatica, sto decisamente invecchiando. E qui, chi invecchia muore, c'è poco da dire. Ai vecchi li schiacciano, li insultano, gli tirano cose. Ma devo pur mangiare e mi tocca uscire, mi tocca. Che aria strana oggi, nei vicoli. Sarà il maestrale, sarà che ho fame, sarà che ho paura. Ma ho ragione, c'è aria strana. Può darsi proprio che oggi io non torni a casa... Ma porca miseria, e questo? Che ci fa un criceto in giro per i vicoli di Castello? E come corre... Il fuoco alle calcagna, anzi, alle zampe. Se non sta attento lo schiacciano, sicuro. Sarà il Maestrale che nei vicoli di Cagliari ha sempre portato pazzia, ma oggi è giornata strana, piena di vibrazioni negative, direbbe la TV. Va bene, un topo vecchio forse non è il miglior giudice, ma proprio per questo   so di che cosa parlo. La conoscete, no, la memoria dei topi. In me c'è la memoria di secoli, generazioni di topi. Quindi credetemi, se vi dico che oggi c'è aria strana nei vicoli.
Marina Piras


Fottuto Maestrale
 (s6) Impreco, mi rodo il fegato, fisso con astio chiunque si accenda una sigaretta nel mio campo visivo. Lo sfregare della pietra focaia di un accendino, l’odore del fumo, la vista d’una fiammella sulla punta di una bacchetta di tabacco mi fa impazzire. Non riesco a mandare giù il fatto di dover sopportare questi fumatori che d’ogni dove mi bombardano col loro vizio. Guarda quello come fa i cerchi col fumo bianco e denso, vorrei saltargli al collo, strappargli di bocca l’oggetto in causa e farlo pentire d’aver fatto il primo tiro. Per giunta il gusto rustico del tabacco mi giunge ruvido sulla lingua ogni volta che sbadiglio. Ho bisogno di fumare. Posso ancora vedere chiaramente le ultime briciole del mio Lucky Strike che prendono il volo dalla cartina, disperdendosi tra i viottoli di Castello. Fottuto maestrale, non solo si fuma le sigarette al posto mio, ma impedisce persino che me le giri. E quella era proprio l’ultima sigaretta. Ho pure finito i soldi. Fottuto maestrale.
Gabriele Attene


(s5) In un soffio
Avevano appuntamento alle 18:00 in via Santa Croce, sotto la palma, lo stesso posto in cui si erano incontrati per la prima volta. Dopo la passione iniziale erano arrivate le difficoltà e i litigi, l’ultimo, tredici giorni prima, e per tutto questo tempo non si erano più cercati. Ma quella mattina Pietro aveva avuto il coraggio di mandare un sms “Ciao, vorrei parlarti”, e la risposta non si era fatta attendere. Passò il pomeriggio a prepararsi. Si fece la barba e tirò su il ciuffo con il gel per evitare di essere spettinato dal vento forte. Entrambi arrivarono puntuali, il maestrale sollevava le tovaglie bianche sui tavoli del ristorante vicino e i gabbiani assecondavano i mulinelli d’aria. Si salutarono con un leggero imbarazzo. “perdonami ti prego, non lo farò mai più”, disse Pietro con la voce rotta dal pianto. Di fronte a lui Andrea lo fissava con gli occhi lucidi “Mamma perché quei due maschi si baciano?” “Perché si amano tesoro mio”. E il maestrale asciugò le lacrime.
Eliana Carrus


(s4) Via

Anche oggi devo andare a lavoro alle 15,00. Odio quest’orario. Dopo pranzo vorrei fare un sonnellino, chiacchierare con la mia famiglia o abbuffarmi di dolci davanti alla tv. Ma non andare a lavoro. Come se non bastasse, tutti giorni devo attraversare Via Santa Croce e morire d’invidia per le persone che possono godersi il panorama all’ombra dei gazebi fioriti, sorseggiando un delizioso caffè appena fatto. Oggi però, grazie al vento impetuoso, nessuno ha avuto il coraggio di venire quassù. E allora assaporo il panorama come fosse solo per me. Continuo a camminare e mi sciolgo i capelli. Lascio che giochino con il vento e che la dolcezza della libertà mi invada. Punto il piede per fare una giravolta e sentirmi per un istante un tutt’uno con il vento, ma un rumore improvviso mi riporta alla realtà. Il cellulare sta squillando. È il mio capo. Io sono in ritardo e lui è infuriato, “Vieni immediatamente qui! Vola!” Magari potessi. Invece dovrò correre con il pranzo ancora sullo stomaco. 
Debora Fanti


(s3) L’attesa
 Siede composta su una panchina della piazzetta sotto la cattedrale. Controlla l’orologio. Sono le 16,40. Ancora 20 minuti e poi andrà via. Si risistema con cura il polsino della camicia e passa ancora una volta il pettine tra i capelli, prima di rinfilarlo nella crocchia, dopo avere riportato le ciocche scompigliate dal maestrale al proprio posto. Il suo cruccio è la gonna. Avrebbe dovuto stirarla meglio, si dice, continuando a passare le mani su grinze invisibili, nel vano tentativo di farle scomparire persino ai suoi occhi. È nervosa. Come tutte le volte. Si sente stupida per questo. Solleva di tanto in tanto gli occhi, guardandosi tutt'intorno. Chissà se lui la riconoscerà, si chiede. Le campane rintoccano, riportandola alla realtà. Sono le 17,00. Lui non è arrivato. Eppure anche stavolta si è concessa un’ora di speranza. La speranza di rivederlo nello stesso luogo e giorno in cui le ha chiesto di sposarlo, prima di imbarcarsi e di finire poi disperso in mare, 52 anni prima.
Giuseppe Cossu

(s2) Lo Smemorato
Il destino, il fato, Dio, o chi per lui, traccia sentieri cosi improbabili che uno scrittore ne avrebbe imbarazzo a vergarne gli accadimenti. Fu cosi che mentre mi trascinavo lungo le strette vie di Castello, il forte maestrale mi stampò sul volto il volantino di un’agenzia di pompe funebri; “Il Riposo” sita in via Genovesi. La morte affascina i romantici e spaventa gli ansiosi, io sfortunatamente appartengo al secondo insieme. Mi ritrovai quindi a elucubrare sulla mia dipartita. Non si è mai troppo previdenti, in fin dei conti la mia età non esclude l’ineluttabile evento. Con passo deciso mi diressi verso l’agenzia per un preventivo. Ad accogliermi un signore alto e allampanato. L’uomo si presentò come Lucio Ferro, mi sorrise sornione e infine esclamò. “Bene, erano parecchi giorni che l’aspettavamo…”. Lo ascoltai basito. Lucio cambiò espressione e insistette. “Egregio Signore, siete morto da due settimane, ed è buona norma quando si è defunti non deambulare per la citta…”
Andrea Fugheri

(s1) Torna da me ti prego
 Marco corre arrancando sulle salite impervie di Castello, sudato fradicio non accenna a fermarsi. Il fiato corto da fumatore accanito è ulteriormente indebolito dalle urla che continua a lanciare durante l’inseguimento. Occhi stupiti lo scrutano celati dai piccoli balconi che si affacciano sulla via, qualcuno mormora scostandosi al suo passaggio, interrogandosi sulla salute mentale del giovane affannato che sbraita ai fantasmi. Potrà anche sembrare un pazzo mentre implora di tornare indietro  a qualcuno o qualcosa che nessuno vede, tornare da lui, ma non gli importa. Il loro incontro magico, inatteso e insperato è stata l’unica nota lieta di una giornata iniziata con la peggiore delle notizie. Equitalia, bollo auto scaduto e mora in omaggio. Fanculo. Quei 500 euro che ha visto per terra poco prima, sospinti in un volo leggero dallo sbuffare del vento, sono la sua salvezza, e non sarà certo il maestrale che soffia impetuoso tra i vicoli a impedirgli di raggiungerli. 
Davide Cogotti

Short stories pellegrine...

Alter
Ti osserva e non parla. E finché tu non ti muovi, lui non si muove, non cede di un passo, non abbassa lo sguardo. Maledetto! Lo senti, è più forte di te. Vive in casa tua, occupa le tue stanze, indossa i tuoi vestiti. A volte ti sorride, quando anche tu sorridi, allora pensi che potreste diventare amici e gli parli, ma lui niente, non risponde. Non sai nemmeno come si chiama. Ti osserva e non parla. Da quanto tempo ti fissa, che cosa vuole? Perché non ti lascia in pace? Ti farà impazzire. A volte prendi la sedia e ti siedi di fronte a lui e lo sfidi, lo guardi fisso negli occhi, gli urli in faccia che lo odi e anche lui lo fa, nel medesimo istante, spalanca la bocca, ha gli occhi iniettati di rabbia, urla, o almeno credi, perché non lo senti. C’è solo la tua voce, il tuo alito, il tuo odio. E capisci che non lo puoi piegare, che non se ne andrà mai. E per non dargli la soddisfazione di mostrarti sconfitto, puoi solo voltargli le spalle e fingere di essere solo. Ecco, ora sei solo.
Giuseppe Corrado

La stalker
Ti segue ovunque. Non sempre, ma ovunque. Ti alzi, fai colazione ed è già lì. Esci, passeggi fra la gente e lei ti segue. Sul tram, al bar, in ufficio, ti sta appiccicata addosso come l’edera al traliccio. Crede di essere te ma non ha il tuo spessore, la tua vitalità, i tuoi sogni. Non conserva ricordi, non prova emozioni, non ha alcun progetto da realizzare. Non t’è d’alcun aiuto, anzi… è lei che con la sua presenza indica agli altri che ci sei anche tu. Non hai un attimo d’intimità. E non puoi denunciarla perché nessuno ti crede. Ti prendono per pazzo eppure lei è lì, assieme a te, e anche loro la vedono, e allora ti rendi conto che anche loro hanno il tuo stesso problema, ma ci convivono, tutti lo sanno e non fanno niente. Però tu non sei come gli altri, provi a ribellarti, cerchi di cacciarla, ti chiudi nella stanza, spegni tutte le luci, ti nascondi nel buio, in silenzio, sollevi le scarpe, non la vedi, però lo sai che è sempre lì, magari dietro la porta, che ti aspetta.
Giuseppe Corrado
La fuga
Cagliari s’è svegliata sotto un cielo di piombo che stona con le cartoline della città. Serrande abbassate, mute come il Bastione che troneggia su Piazza Costituzione. In un istante li vedo spuntare da via Garibaldi ed già troppo tardi. Sono ovunque, non ci sono più strade sicure. Si muovono in branco, pronti ad assalirti, mani tese e denti in mostra. Uno esibisce fiero un buco al posto degli incisivi caduti. Ghignano e mettono in mostra la ragione per cui sono lì. Il letto oggi era l’unico posto davvero sicuro, ma la fame mi ha spinto ad uscire, e niente zittisce il mio stomaco come un croissant alla marmellata. Appiattito su una vetrina fingo di scrutare i prezzi con la fronte attaccata al vetro freddo. Le cuffie del telefono sparano musica nella vana speranza che non vederli e non sentirli possa salvarmi. Questa mattina, sotto le lenzuola, il mondo sembrava un posto migliore, non avevo proprio nulla da temere là fuori. Ma come potevo sapere che oggi è la giornata degli scout?
Davide Cogotti



Mi fai sangue
È la notte di ferragosto, calda e senza vento. Sono tutti in spiaggia, davanti al falò. Chi arrostisce salsicce, chi beve una birra, chi ride, chi scherza. Tutti a petto nudo, tranne le ragazze,  coperte dal costume. Mi piacciono tanto queste serate estive, esco ogni notte e torno a casa all’alba, sempre a cena fuori. E stanotte sono in spiaggia. È da quando sono arrivata che l’ho notato, è stata una questione di pelle, tra tanti ho scelto lui. Non si è ancora accorto di me, ce ne sono tante altre. In effetti non ho niente di particolare, perché mai dovrebbe notarmi? Per me è il più bello in assoluto, pettorali così scolpiti capita raramente di vederli, si capisce che fa sport. Mi avvicino, ne approfitto ora che lo hanno lasciato solo. Silenziosa quanto posso, gli sono dietro, da vicino è ancora più bello. Sento subito il calore della sua pelle, con un volteggio sono di fronte a lui, poggio la bocca sul suo petto e… Inizio a soffocare. Ecco, è la fine, maledetto Autan gel.
Eliana Carrus

3, 2, 1
Mani febbrili mi sfilano delicatamente le vesti, vedo la mia reticenza rimbalzare nei loro sorrisi. Li fermo alle mutandine, ultimo baluardo di una pudicizia che sembra non turbare affatto la bramosia degli astanti. Per me è in assoluto la prima volta, gli altri si muovono al ritmo di una musica che ben conoscono. Una ragazza si sfila la giacchetta, mi guarda e annuisce maliziosa, la canottiera aderente si gonfia e si rilassa, rimango affascinato da quel movimento ipnotico. Un uomo con le mani da bambino scherza amabilmente con la fanciulla in canottiera, sono incredibilmente a loro agio. Sento la gelosia per quell’intimità crescere come un’onda, il che è ridicolo, visto quel che succederà di lì a poco. Altri arrivano nella grande stanza attrezzata per l’occasione. Siamo tre maschi e tre femmine. Il mio cuore è un treno in corsa, è il momento di levare gli slip…
“Si rilassi sig. Murru, l’operazione sarà veloce, ora respirate dentro la mascherina e iniziate a contare 10, 9, 8, 7…”
Andrea Fulgheri

Volantini
Era alto e magro come una pertica. Camminava spedito e cambiava spesso scarpe. Le ultime erano così consumate che rischiava di slogarsi le caviglie, ma procedeva rapido come se la borsa a tracolla contenesse nuvole di cotone. In tre giorni riempì le cassette postali dell’intero paese. Allora continuò verso quello vicino. Ormai le scarpe erano inutilizzabili e le abbandonò sul ciglio della strada, proseguendo scalzo. Giunto al paese ricominciò il lavoro. Il braccio destro ormai conosceva un solo movimento, dalla tracolla alla cassetta e ancora alla tracolla. Trascorsero altri due giorni, ma la borsa continuava a sfornare volantini. Decise di inserirne più d’uno per cassetta, cinque, poi dieci, ma non finivano mai. Allora ne lasciò davanti a ogni porta un mazzetto da 100. Forse avrebbe dovuto raggiungere una metropoli per terminarli. O meglio, viaggiare per tutta la regione, la nazione, in Europa, sbarcare in America, e poi su nello spazio. E lo stesso gliene sarebbero rimasti.
Sergio Cugusi

Al piano di sopra
È una sera tipicamente invernale, fredda e umida, una di quelle in cui desidero solo stare davanti al caminetto a fissare il fuoco. Mia madre decide di farmi compagnia. Si siede vicino a me, iniziamo a sorseggiare una tazza di tè caldo. Il nostro silenzio è interrotto da un rumore forte e improvviso. Uno sguardo a mia madre, alziamo gli occhi verso il soffitto. Velocemente mi dirigo verso la scala. Salgo i gradini due per volta con passo veloce, il cuore mi batte forte. Arrivo al piano di sopra, sento che il rumore proviene dalla mia stanza. Abbasso la maniglia della porta di scatto ed entro decisa. La finestra spalancata sbatte ripetutamente, eppure l’avevo chiusa. Cocci di vetro sparsi a terra, il pavimento bagnato. Mi dirigo verso la finestra per chiuderla ma qualcosa mi ferma. Poco vicino un cadavere riverso sul pavimento, lo sguardo fisso verso di me come a chiedere perché?
“Accidenti mamma, te l’ho detto mille volte di non spostare la boccia del mio pesce rosso.”
Eliana Carrus

Avanti il prossimo
“Non sento altro che dolore. Non c’è più niente per me. Niente! La solitudine è come il nulla: inesistente e impalpabile, ma schiacciante come un macigno. Vedo le luci della città scorrere di sotto ammiccanti e tentatrici. Basterebbe un salto, un solo salto e tutto sarebbe finito. Cosa mi blocca ancora? Di cosa ho timore? Non è la paura di morire, no, non lo è. E’ il terrore dell’ignoto. Di iniziare tutto daccapo. Di risvegliarmi immemore nel corpo di un nascituro e di riprendere ogni cosa dal principio, rivivendo la stessa agonia. Non riesco ad immaginare un inferno peggiore! Eppure ora eccomi qui, in questa camera d’albergo. Domattina sarà troppo tardi, quando mi troveranno sarò morto… e mi auguro per sempre. Amate pillole che lentamente mi porterete nell’oblio… Piccole perle di morte compassionevole…”
“Grazie, Signor Ruda. Per noi può bastare”.
“Ma come… mi avete interrotto proprio sul più bello”.
“Non si preoccupi è andata bene. Le faremo sapere. Avanti il prossimo!”
Giuseppe Cossu

2 commenti:

  1. Standing ovation per Giuseppe Cossu che le azzecca sempre tutte! AHAHAHAHAHHA mi fai morire :-)

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  2. ...dove arriverà questa catena? ...

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