Storie in mille caratteri
(s1) Torna da me ti prego
La stalker
La fuga

C'è la Storia con la S maiuscola, che unisce tutti i nostri respiri, le parole, i sogni, i passi... E poi ci sono le storie scritte con la s minuscola. E' la somma delle storie con la s minuscola a formare il percorso della Storia con la S maiuscola. Di seguito alcune storie pellegrine, altre che in qualche modo sono collegate l'una altra, a voi trovare il filo che le unisce...
Sensazioni
(s5) In un soffio
San Francesco
(s...) Sopporto gli
sguardi curiosi, i pensieri maliziosi, gli ammiccamenti. Sopporto le punte
metalliche che mi lacerano la veste e incidono i piedi. Sopporto il solletico
dei pennarelli. Perfino gli errori grammaticali. Sì, perfino quelli riesco a
sopportare, anche se m’infastidiscono e deprimono. Accetto volentieri la
pioggia che mi toglie la polvere da dosso, e che mi rinfresca d’estate. A
volte, il delicato equilibrio fra la massa e la forza di gravità, fa sì che
sembri che io pianga. Non significa niente, certo, non posso piangere, ma la
credenza popolare, che mi associa alle umane pene, rende questa bizzarria
alquanto poetica. E mai nessuno che passi quando ciò accade. E se qualcuno passeggia,
mai che sporga il viso fuori dall'ombrello, che sollevi lo sguardo e dica… è un
miracolo! Ma pazienza. Posso sopportare anche il maestrale insolente che oggi mi
schiaffeggia senza rispetto. Ma quello che proprio non sopporto, è questo
dannato piccione che ogni giorno mi caca in testa.
Giuseppe Corrado
Mia figlia
(s...) Avete visto
mia figlia? Signore, ha visto mia figlia? Signora, lei ha visto per caso mia
figlia? Ha gli occhi che ti leggono la vita, e il sorriso degli innamorati.
Voi… voi avete visto mia figlia? Sembra un angelo, l’avete vista? E voi, lì,
vicino al parapetto, scusate se vi disturbo, datemi un poco d’attenzione, vi
prego. Avete forse visto mia figlia? Magari passa un corteo nuziale, sento i
clacson festosi attraversare il viale delle Regine. Ne passano tutti i giorni,
signori, ascoltatemi un poco. Ditemi, avete visto mia figlia? Anche lei è
innamorata, fra qualche anno sfileremo con le macchine lucide e le coccarde
bianche. Ma è ancora giovane, non l’ho mai vista piangere. Lo so che capiterà,
capita a tutti di piangere, ma poi le ombre si dileguano e le rughe spariscono.
Ci siamo passati tutti. Sarà così anche per lei. Però, che facce strane che
avete. Sembra che indossiate maschere di dolore. Prestate attenzione, vi prego,
ascoltate, avete visto mia figlia?
Giuseppe Corrado
Portami a casa
(s...) Papà, ti
prego, portami a casa. Prometto che ti darò ascolto. Ti racconterò quello che
mi passa per la testa, le parole che mi riempiono di sogni e paure, che il
vento mi suggerisce. Ti dirò tutto, papà, e ascolterò i tuoi consigli, tu però
portami a casa. Signor Maestrale s’è spacciato per buono, tante volte mi ha
cullato e poi soggiogato. Ha una voce suadente, Signor Maestrale. Ha promesso
che mi avrebbe sostenuto, e io gli ho creduto. E le chiome degli alberi
sembravano nuvole verdi, e il marciapiedi un mare piatto. Scusami papà. Signor
Maestrale mi ha preso in braccio e mi sono sentita amata. Che brutta cosa è
l’amore. È una bugia che lascia senza fiato. Signor Maestrale mi faceva
sorridere, mi ammaliava, mi faceva sentire apprezzata. L’ho seguito e ho
volato, ma solo un attimo. Poi lui ha aperto le mani e sono precipitata. Le
nuvole verdi si sono spezzate, il mare si è irrigidito, e ho perso tutti i
denti. Scusa papà, se non ti ho ascoltato. Ti prego, portami a casa.
Giuseppe Corrado
La
torre di Dio
(s8) Il
maestrale soffiava forte all'interno della Torre di San Pancrazio,
confondendosi con le grida delle streghe torturate dagli onesti uomini di Dio. Lui
era lì a vegliare su di lei mentre agonizzava in preda agli spasmi. Le gambe
candide e le braccia esili erano smagrite, ustionate, lacerate, coperte di
lividi, rigate di sangue. Rannicchiata in posizione innaturale, contorta come
una pianta rinsecchita per le fratture. I capelli luridi e sudati, appiccicati
sul viso tumefatto. Si guardarono in un istante eterno. Quante volte era giunto
alla sua anima attraverso quegli occhi blu? La creatura innocente, nonostante
fosse stata barbaramente macellata, gli pareva ancora più bella. E era
grottesco pensarlo proprio in quel frangente, ma era ciò che esprimeva: amore e
bellezza come Gesù Cristo in croce. La strinse a sé e schiuse le ali per
condurla via. Si riscosse dai suoi pensieri e riprese il cammino. Ormai era un
angelo custode senza un’anima da custodire.
Da trecento anni.
Roberta Zucca
(s7) Uscire da ‘sto buco mi costa sempre più
fatica, sto decisamente invecchiando. E qui, chi invecchia muore, c'è poco da
dire. Ai vecchi li schiacciano, li insultano, gli tirano cose. Ma devo pur
mangiare e mi tocca uscire, mi tocca. Che aria strana oggi, nei vicoli. Sarà il
maestrale, sarà che ho fame, sarà che ho paura. Ma ho ragione, c'è aria strana.
Può darsi proprio che oggi io non torni a casa... Ma porca miseria, e questo? Che
ci fa un criceto in giro per i vicoli di Castello? E come corre... Il fuoco
alle calcagna, anzi, alle zampe. Se non sta attento lo schiacciano, sicuro.
Sarà il Maestrale che nei vicoli di Cagliari ha sempre portato pazzia, ma oggi
è giornata strana, piena di vibrazioni negative, direbbe la TV. Va bene, un
topo vecchio forse non è il miglior giudice, ma proprio per questo so di che cosa parlo. La conoscete, no, la
memoria dei topi. In me c'è la memoria di secoli, generazioni di topi. Quindi
credetemi, se vi dico che oggi c'è aria strana nei vicoli.
Marina
Piras
Fottuto
Maestrale
(s6) Impreco,
mi rodo il fegato, fisso con astio chiunque si accenda una sigaretta nel mio
campo visivo. Lo sfregare della pietra focaia di un accendino, l’odore del
fumo, la vista d’una fiammella sulla punta di una bacchetta di tabacco mi fa
impazzire. Non riesco a mandare giù il fatto di dover sopportare questi
fumatori che d’ogni dove mi bombardano col loro vizio. Guarda quello come fa i
cerchi col fumo bianco e denso, vorrei saltargli al collo, strappargli di bocca
l’oggetto in causa e farlo pentire d’aver fatto il primo
tiro. Per giunta il gusto rustico del tabacco mi giunge ruvido sulla lingua
ogni volta che sbadiglio. Ho bisogno di fumare. Posso ancora vedere chiaramente
le ultime briciole del mio Lucky Strike che prendono il volo dalla cartina,
disperdendosi tra i viottoli di Castello. Fottuto maestrale, non solo si fuma
le sigarette al posto mio, ma impedisce persino che me le giri. E quella era
proprio l’ultima sigaretta. Ho pure finito i soldi. Fottuto maestrale.
Gabriele Attene
(s5) In un soffio
Avevano appuntamento alle 18:00 in via Santa Croce, sotto la
palma, lo stesso posto in cui si erano incontrati per la prima volta. Dopo la
passione iniziale erano arrivate le difficoltà e i litigi, l’ultimo, tredici
giorni prima, e per tutto questo tempo non si erano più cercati. Ma quella
mattina Pietro aveva avuto il coraggio di mandare un sms “Ciao, vorrei
parlarti”, e la risposta non si era fatta attendere. Passò il pomeriggio a
prepararsi. Si fece la barba e tirò su il ciuffo con il gel per evitare di
essere spettinato dal vento forte. Entrambi arrivarono puntuali, il maestrale
sollevava le tovaglie bianche sui tavoli del ristorante vicino e i gabbiani
assecondavano i mulinelli d’aria. Si salutarono con un leggero imbarazzo.
“perdonami ti prego, non lo farò mai più”, disse Pietro con la voce rotta dal
pianto. Di fronte a lui Andrea lo fissava con gli occhi lucidi “Mamma perché
quei due maschi si baciano?” “Perché si amano tesoro mio”. E il maestrale
asciugò le lacrime.
Eliana Carrus
(s4) Via
Anche oggi
devo andare a lavoro alle 15,00. Odio quest’orario. Dopo pranzo vorrei fare un
sonnellino, chiacchierare con la mia famiglia o abbuffarmi di dolci davanti
alla tv. Ma non andare a lavoro. Come se non bastasse, tutti giorni devo
attraversare Via Santa Croce e morire d’invidia per le persone che possono
godersi il panorama all’ombra dei gazebi fioriti, sorseggiando un delizioso
caffè appena fatto. Oggi però, grazie al vento impetuoso, nessuno ha avuto il
coraggio di venire quassù. E allora assaporo il panorama come fosse solo per
me. Continuo a camminare e mi sciolgo i capelli. Lascio che giochino con il
vento e che la dolcezza della libertà mi invada. Punto il piede per fare una
giravolta e sentirmi per un istante un tutt’uno con il vento, ma un rumore
improvviso mi riporta alla realtà. Il cellulare sta squillando. È il mio capo.
Io sono in ritardo e lui è infuriato, “Vieni immediatamente qui! Vola!” Magari
potessi. Invece dovrò correre con il pranzo ancora sullo stomaco.
Debora Fanti
(s3) L’attesa
Siede composta
su una panchina della piazzetta sotto la cattedrale. Controlla l’orologio. Sono
le 16,40. Ancora 20 minuti e poi andrà via. Si risistema con cura il polsino
della camicia e passa ancora una volta il pettine tra i capelli, prima di
rinfilarlo nella crocchia, dopo avere riportato le
ciocche scompigliate dal maestrale al proprio posto. Il suo cruccio è la gonna.
Avrebbe dovuto stirarla meglio, si dice, continuando a passare le mani su
grinze invisibili, nel vano tentativo di farle scomparire persino ai suoi
occhi. È nervosa. Come tutte le volte. Si sente stupida per questo. Solleva di
tanto in tanto gli occhi, guardandosi tutt'intorno. Chissà se lui la
riconoscerà, si chiede. Le campane
rintoccano, riportandola alla realtà. Sono le 17,00. Lui non è
arrivato. Eppure anche stavolta si è concessa un’ora di speranza. La speranza
di rivederlo nello stesso luogo e giorno in cui le ha chiesto di sposarlo,
prima di imbarcarsi e di finire poi disperso in mare, 52 anni prima.
Giuseppe Cossu
(s2) Lo
Smemorato
Il
destino, il fato, Dio, o chi per lui, traccia sentieri cosi improbabili che uno
scrittore ne avrebbe imbarazzo a vergarne gli accadimenti. Fu cosi che mentre
mi trascinavo lungo le strette vie di Castello, il forte maestrale mi stampò
sul volto il volantino di un’agenzia di pompe funebri; “Il Riposo” sita in via
Genovesi. La morte affascina i romantici e spaventa gli ansiosi, io
sfortunatamente appartengo al secondo insieme. Mi ritrovai quindi a elucubrare
sulla mia dipartita. Non si è mai troppo previdenti, in fin dei conti la mia
età non esclude l’ineluttabile evento. Con passo deciso mi diressi verso l’agenzia
per un preventivo. Ad accogliermi un signore alto e allampanato. L’uomo si
presentò come Lucio Ferro, mi sorrise sornione e infine esclamò. “Bene, erano
parecchi giorni che l’aspettavamo…”. Lo ascoltai basito. Lucio cambiò
espressione e insistette. “Egregio Signore, siete morto da due settimane, ed è
buona norma quando si è defunti non deambulare per la citta…”
Andrea Fugheri
(s1) Torna da me ti prego
Marco
corre arrancando sulle salite impervie di Castello, sudato fradicio non accenna
a fermarsi. Il fiato corto da fumatore accanito è ulteriormente indebolito
dalle urla che continua a lanciare durante l’inseguimento. Occhi stupiti lo
scrutano celati dai piccoli balconi che si affacciano sulla via, qualcuno
mormora scostandosi al suo passaggio, interrogandosi sulla salute mentale del
giovane affannato che sbraita ai fantasmi. Potrà anche sembrare un pazzo mentre
implora di tornare indietro a qualcuno o
qualcosa che nessuno vede, tornare da lui, ma non gli importa. Il loro incontro
magico, inatteso e insperato è stata l’unica nota lieta di una giornata
iniziata con la peggiore delle notizie. Equitalia, bollo auto scaduto e mora in
omaggio. Fanculo. Quei 500 euro che ha visto per terra poco prima, sospinti in
un volo leggero dallo sbuffare del vento, sono la sua salvezza,
e non sarà certo il maestrale che soffia impetuoso tra i vicoli a impedirgli di
raggiungerli.
Davide Cogotti

Short stories pellegrine...
Alter
Alter
Ti osserva e
non parla. E finché tu non ti muovi, lui non si muove, non cede di un passo,
non abbassa lo sguardo. Maledetto! Lo senti, è più forte di te. Vive in casa tua,
occupa le tue stanze, indossa i tuoi vestiti. A volte ti sorride, quando anche tu
sorridi, allora pensi che potreste diventare amici e gli parli, ma lui niente,
non risponde. Non sai nemmeno come si chiama. Ti osserva e non parla. Da quanto
tempo ti fissa, che cosa vuole? Perché non ti lascia in pace? Ti farà
impazzire. A volte prendi la sedia e ti siedi di fronte a lui e lo sfidi, lo
guardi fisso negli occhi, gli urli in faccia che lo odi e anche lui lo fa, nel
medesimo istante, spalanca la bocca, ha gli occhi iniettati di rabbia, urla, o
almeno credi, perché non lo senti. C’è solo la tua voce, il tuo alito, il tuo
odio. E capisci che non lo puoi piegare, che non se ne andrà mai. E per non dargli
la soddisfazione di mostrarti sconfitto, puoi solo voltargli le spalle e
fingere di essere solo. Ecco, ora sei solo.
Giuseppe Corrado

La stalker
Ti segue
ovunque. Non sempre, ma ovunque. Ti alzi, fai colazione ed è già lì. Esci,
passeggi fra la gente e lei ti segue. Sul tram, al bar, in ufficio, ti sta
appiccicata addosso come l’edera al traliccio. Crede di essere te ma non ha il
tuo spessore, la tua vitalità, i tuoi sogni. Non conserva ricordi, non prova
emozioni, non ha alcun progetto da realizzare. Non t’è d’alcun aiuto, anzi… è
lei che con la sua presenza indica agli altri che ci sei anche tu. Non hai un
attimo d’intimità. E non puoi denunciarla perché nessuno ti crede. Ti prendono
per pazzo eppure lei è lì, assieme a te, e anche loro la vedono, e allora ti
rendi conto che anche loro hanno il tuo stesso problema, ma ci convivono, tutti
lo sanno e non fanno niente. Però tu non sei come gli altri, provi a
ribellarti, cerchi di cacciarla, ti chiudi nella stanza, spegni tutte le luci,
ti nascondi nel buio, in silenzio, sollevi le scarpe, non la vedi, però lo sai
che è sempre lì, magari dietro la porta, che ti aspetta.
Giuseppe Corrado

Cagliari s’è svegliata sotto un cielo di piombo che stona con le
cartoline della città. Serrande abbassate, mute come il Bastione che troneggia
su Piazza Costituzione. In un istante li vedo spuntare da via Garibaldi ed già
troppo tardi. Sono ovunque, non ci sono più strade sicure. Si muovono in
branco, pronti ad assalirti, mani tese e denti in mostra. Uno esibisce fiero un
buco al posto degli incisivi caduti. Ghignano e mettono in mostra la ragione
per cui sono lì. Il letto oggi era l’unico posto davvero sicuro, ma la fame mi
ha spinto ad uscire, e niente zittisce il mio stomaco come un croissant alla
marmellata. Appiattito su una vetrina fingo di scrutare i prezzi con la fronte
attaccata al vetro freddo. Le cuffie del telefono sparano musica nella vana
speranza che non vederli e non sentirli possa salvarmi. Questa mattina, sotto
le lenzuola, il mondo sembrava un posto migliore, non avevo proprio nulla da
temere là fuori. Ma come potevo sapere che oggi è la giornata degli scout?
Davide Cogotti

Mi fai sangue
È la notte di ferragosto, calda e senza vento. Sono tutti in
spiaggia, davanti al falò. Chi arrostisce salsicce, chi beve una birra, chi
ride, chi scherza. Tutti a petto nudo, tranne le ragazze, coperte dal costume. Mi piacciono tanto
queste serate estive, esco ogni notte e torno a casa all’alba, sempre a cena
fuori. E stanotte sono in spiaggia. È da quando sono arrivata che l’ho notato,
è stata una questione di pelle, tra tanti ho scelto lui. Non si è ancora
accorto di me, ce ne sono tante altre. In effetti non ho niente di particolare,
perché mai dovrebbe notarmi? Per me è il più bello in assoluto, pettorali così scolpiti
capita raramente di vederli, si capisce che fa sport. Mi avvicino, ne
approfitto ora che lo hanno lasciato solo. Silenziosa quanto posso, gli sono
dietro, da vicino è ancora più bello. Sento subito il calore della sua pelle,
con un volteggio sono di fronte a lui, poggio la bocca sul suo petto e… Inizio
a soffocare. Ecco, è la fine, maledetto Autan gel.
Eliana Carrus
3,
2, 1
Mani
febbrili mi sfilano delicatamente le vesti, vedo la mia reticenza rimbalzare
nei loro sorrisi. Li fermo alle mutandine, ultimo baluardo di una pudicizia che
sembra non turbare affatto la bramosia degli astanti. Per me è in assoluto la
prima volta, gli altri si muovono al ritmo di una musica che ben conoscono. Una
ragazza si sfila la giacchetta, mi guarda e annuisce maliziosa, la canottiera
aderente si gonfia e si rilassa, rimango affascinato da quel movimento
ipnotico. Un uomo con le mani da bambino scherza amabilmente con la fanciulla
in canottiera, sono incredibilmente a loro agio. Sento la gelosia per quell’intimità
crescere come un’onda, il che è ridicolo, visto quel che succederà di lì a poco.
Altri arrivano nella grande stanza attrezzata per l’occasione. Siamo tre maschi
e tre femmine. Il mio cuore è un treno in corsa, è il momento di levare gli
slip…
“Si
rilassi sig. Murru, l’operazione sarà veloce, ora respirate dentro la
mascherina e iniziate a contare 10, 9, 8, 7…”
Andrea Fulgheri
Volantini
Era
alto e magro come una pertica. Camminava spedito e cambiava spesso scarpe. Le
ultime erano così consumate che rischiava di slogarsi le caviglie, ma procedeva
rapido come se la borsa a tracolla contenesse nuvole di cotone. In tre giorni riempì
le cassette postali dell’intero paese. Allora continuò verso quello vicino.
Ormai le scarpe erano inutilizzabili e le abbandonò sul ciglio della strada, proseguendo
scalzo. Giunto al paese ricominciò il lavoro. Il braccio destro ormai conosceva
un solo movimento, dalla tracolla alla cassetta e ancora alla tracolla. Trascorsero
altri due giorni, ma la borsa continuava a sfornare volantini. Decise di
inserirne più d’uno per cassetta, cinque, poi dieci, ma non finivano mai. Allora
ne lasciò davanti a ogni porta un mazzetto da 100. Forse avrebbe dovuto
raggiungere una metropoli per terminarli. O meglio, viaggiare per tutta la
regione, la nazione, in Europa, sbarcare in America, e poi su nello spazio. E
lo stesso gliene sarebbero rimasti.
Sergio Cugusi
Al piano di sopra
È una sera tipicamente invernale, fredda e umida, una di quelle
in cui desidero solo stare davanti al caminetto a fissare il fuoco. Mia madre
decide di farmi compagnia. Si siede vicino a me, iniziamo a sorseggiare una
tazza di tè caldo. Il nostro silenzio è interrotto da un rumore forte e
improvviso. Uno sguardo a mia madre, alziamo gli occhi verso il soffitto. Velocemente
mi dirigo verso la scala. Salgo i gradini due per volta con passo veloce, il
cuore mi batte forte. Arrivo al piano di sopra, sento che il rumore proviene
dalla mia stanza. Abbasso la maniglia della porta di scatto ed entro decisa. La
finestra spalancata sbatte ripetutamente, eppure l’avevo chiusa. Cocci di vetro
sparsi a terra, il pavimento bagnato. Mi dirigo verso la finestra per chiuderla
ma qualcosa mi ferma. Poco vicino un cadavere riverso sul pavimento, lo sguardo
fisso verso di me come a chiedere perché?
“Accidenti mamma, te l’ho detto mille volte di non spostare la
boccia del mio pesce rosso.”
Eliana Carrus
“Non sento altro che dolore. Non c’è più niente per me. Niente! La solitudine è come il nulla: inesistente e
impalpabile, ma schiacciante come un macigno. Vedo le luci della città scorrere di sotto ammiccanti e
tentatrici. Basterebbe un salto, un solo salto e tutto sarebbe finito. Cosa mi blocca ancora? Di cosa ho timore? Non è la paura di morire, no, non lo è.
E’ il terrore dell’ignoto.
Di iniziare tutto daccapo. Di risvegliarmi immemore nel corpo di un nascituro e
di riprendere ogni cosa dal principio, rivivendo la stessa agonia. Non riesco ad immaginare un inferno peggiore! Eppure ora eccomi qui, in questa camera d’albergo. Domattina sarà troppo tardi, quando mi troveranno sarò morto… e mi auguro per sempre. Amate pillole che lentamente mi porterete nell’oblio… Piccole perle di morte
compassionevole…”
“Grazie, Signor Ruda. Per noi può bastare”.
“Ma come… mi avete interrotto proprio sul più bello”.
“Non si preoccupi è andata bene. Le faremo sapere. Avanti il prossimo!”
Giuseppe Cossu
Standing ovation per Giuseppe Cossu che le azzecca sempre tutte! AHAHAHAHAHHA mi fai morire :-)
RispondiElimina...dove arriverà questa catena? ...
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