Ora è tutto finito.
Lui stava seduto lì, in ultima fila,
a pensare che non sarebbe stata solo quella vecchia sala a mancargli, che non
avrebbe rimpianto il guadagno, che aveva visto diminuire giorno dopo giorno,
no, no, non era quello, assolutamente no.
Era oramai la sua vita a scivolargli
dalle mani, era vecchio, di quella vecchiaia che puoi avere anche a trent’anni,
certo lui ne aveva di più e per intenderci non erano gli anni veri quelli che
gli pesavano. Restò seduto per non so dirvi nemmeno quanto, nel seggiolino
centrale dell’ultima fila. Non pensate a quelle comode dei nuovi multisala ma a
quelle in legno, logore e rumorose che scricchiolano quando ti muovi e fanno un
frastuono infernale quando ti alzi perché il sedile a molla va a sbattere nella
spalliera, e non una sola volta ma due e alcune volte tre.
Era lì ad assaporarsi il suo ultimo
spettacolo.
Nella sala buia e silenziosa.
Chiuse gli occhi e in un attimo ritornò
con la mente a molti anni prima, sentì l’odore fresco e pungente del legno
delle seggiole il giorno che le portarono, un odore ANTICO, allora erano nuove
e perfettamente silenziose. Non avrebbe mai più sentito quell’odore. Tornò
ancora più indietro ed ebbe l’immagine lucida di quando confessò a suo padre
l’assurda idea di aprire un cinematografo, nelle orecchie gli rimbombò la
risata aspra come i limoni verdi di Maggio e poi, immediatamente dopo, la
risposta: “figliolo, prima o poi mi farai
morire dal ridere per queste tue idee strampalate” e poi ridendo “quando lo apri ricordati di riservarmi un
posto nella prima fila”, purtroppo non ebbe mai la sua rivincita, il padre
se lo portò via la poliomelite ancor prima che lui fosse uomo. Ma vi posso
garantire che dietro lo schienale del seggiolino centrale della prima fila
trovate una targa in ottone, non molto grande, se la luce è accesa potete
tranquillamente leggervi “Posto riservato”
e poco sotto “a mio Padre”.
Era un tipo di parola Lui.Come quando
disse a mia madre, allora la sua fidanzata, “la tua vita sarà un film” e lei certo non poteva sapere che quella
non era una romantica promessa quanto piuttosto una verità pesante, ancora oggi
quando è in buona lei lo racconta con un sorriso amaro sulle labbra, povera
donna.
Aprì di colpo gli occhi e vide
danzare Fred e Ginger, ma non sullo schermo, li vide danzare nel palco veri
come la sua carne e le sue ossa. Rimase immobile, come se avesse paura che un
minimo movimento potesse farli dissolvere nel nulla. Pensò, credo, di essere
pazzo ma non provò nemmeno a stropicciarsi gli occhi. Erano lì e ballavano;
ballavano una musica che lui aveva dentro ma che non arrivava alle orecchie, si
muovevano come una cosa sola, come se fossero guidati dalle mani del burattinaio
più esperto del mondo, dalle mani di Dio. A un certo punto pensando di essere
morto e che fosse in quel Paradiso che non credeva di essersi mai meritato fece
un batter di ciglia e scomparirono.
Scomparirono così come erano
comparsi.
Piangeva e non sapeva perché, non
capiva nemmeno se erano lacrime di gioia o di dolore, però erano parecchie. Le
stesse che piangeva ogni volta che, nel raccontarmi questa storia, arrivava a
questo punto.
Quel giorno era l’ultimo giorno che
il cinema Vecchio Odeon vedeva al suo interno una persona, e mio padre decise
che era giusto fosse lui, lui da solo ad andare, ad abbassare le saracinesche e
a mettere le catene ai cancelli.
Per sempre.
Oramai era dentro da alcune ore,
aspettava solo il momento giusto per decidere, o forse sarebbe meglio dire
convincersi, che era finita.
Ad un tratto si alzò con un gesto
felino, che non si confaceva alla sua età, e si diresse verso la sala di
proiezione, con passo deciso senza fare caso a nulla di quello che aveva
intorno. Deciso come una moglie all’altare, perlomeno ai suoi tempi era così.
Uscì dalla sala, al buio percorse il
corridoio sino alla fine, arrivò alla piccola porta, quasi invisibile,
ricoperta dello stesso velluto amaranto delle pareti, la fece scorrere di lato
e prese la piccola scala a chiocciola che portava dritta verso la saletta.
La saletta di proiezione è sempre
stata la mia preferita, mio padre mi ci portava solo raramente, lui diceva
fosse pericolosa ma io credo che quella stanza fosse l’unico luogo al mondo
dove poteva SENTIRSI.
Per lui fare quel percorso era un
rito.
E quel lavoro non era un lavoro ma un
gesto di bontà verso coloro che, seduti nelle poltrone, fissavano in trepidante
attesa le luci e lo schermo bianco, lui le guardava dal piccolo foro quadrato
della sala e il tempo dell’inizio del film era sempre diverso, potevano passare
alcuni secondi o pochi minuti o anche una mezz’ora. Non ho mai capito quale
fosse la logica con cui decideva i tempi e se devo essere sincero non ho
nemmeno mai provato a fare quella domanda. Forse perché la sua risposta sarebbe
stata diversa dalla mia domanda o forse perché mi avrebbe detto che non era lui
a decidere i tempi ma che erano i tempi a dirgli che era giunto il momento.
Sì, era un po’ filosofo, un po’ folle
e un po’ sognatore.
Arrivato nella sala la guardò
attentamente, con gli occhi di un padre che guarda il figlio quando il figlio
non lo vede, lucidi e pieni di lacrime d'orgoglio. La ispezionò palmo a palmo.
Era ormai vuota, erano rimaste solo alcune pizze vuote e un seggiolino semi
distrutto. Lo prese e lo posizionò accuratamente davanti al foro di proiezione
si sedette e vide sotto di lui una miriade di teste che si giravano agitate,
subito dopo un lieve vociare, un’altra volta la sua testa gli stava facendo
degli strani scherzi. Scherzi strani ma piacevoli pensò. Ad un tratto il fascio
di luce del proiettore inondò lo schermo e senti forte nel suo orecchio destro
il rullare della macchina, un brivido lo attraversò nuovamente e quella era
l’unica cosa vera che sentì.
Raccontava questa storia ogni qual
volta ne aveva l'occasione ed ogni volta era sempre più vivo il ricordo e
sempre più forte l'emozione, credo la raccontasse perchè era un uomo generoso,
il più generoso che abbia conosciuto. Amava che la gente pendesse dalle sue labbra,
e la gente gli regalava quella sensazione, perchè anche se tutti avevano già
sentito quel racconto non era possibile non farsi rapire dal modo sempre nuovo
di raccontarlo.
Era ogni volta la stessa storia ed
ogni volta era diversa.
Alcune parti le riservava a pochi
eletti, degni della profondità delle sue emozioni, come per esempio la parte in
cui chiuse per sempre il Nuovo Odeon.
E' ormai tardi, fuori il buio ruba il
tempo alla luce e la moglie, mia madre, lo aspetta per cena, quel giorno è un
giorno speciale, triste per tutti.
Gli preparò polenta con funghi e
grive, forse perché mangiasse o forse perché potesse non pensare, aprì per
tempo il vino migliore che era destinato al prete, che avrebbe dovuto farne a
meno, almeno per quella volta.
Era dietro il banco della
biglietteria a controllare che tutto fosse in ordine, non ho mai capito
per cosa dovesse essere in ordine ma
anche quella rimase una domanda senza risposta. Prese la locandina piccola di Via Col Vento, quella con Clark che
abbraccia Vivian in uno sfondo rosso fuoco, la arrotolò con cura, come fosse
una missiva papale, uscì dal gabbiotto e chiuse a chiave. Percorse i pochi
metri che lo separavano dall'ingresso e senti il vociare della gente che
entrava per lo spettacolo della sera, pronti ad assistere ad un nuovo sogno
d'amore o una nuova avventura, però non vide nessuno; arrivato davanti alla
serranda si voltò e vide quello che non aveva mai visto: suo padre in piedi
davanti a lui che lo guardava sorridente, lo sentì parlare bravo, hai portato
avanti il tuo sogno, scusa se non ti ho ascoltato e se non ti ho dato credito,
ora so di aver cresciuto un uomo che è stato capace di restare bambino.
Piangeva mentre lo diceva e mio padre
piangeva mentre lo ascoltava.
Uscì e chiuse con un colpo secco la
saracinesca, si inchinò, girò la chiave per l'ultima volta e appese il cartello
CHIUSO. Si voltò e tornò a casa.
Quella fu la cena più silenziosa mai
fatta a casa mia. Mio padre stette così per alcuni giorni, poi riprese e si
riprese, il suo cinematografo continuava a vivere con la sua storia. Morì un
anno due mesi e tre giorni dopo la chiusura del Vecchio Odeon e l'ultima cosa
che fece nei suoi ultimi attimi fu raccontare la sua storia a me per l'ennesima
volta, fissando la locandina di Via Col Vento che aveva appeso sopra il letto,
di fianco al crocifisso, dandomi le chiavi della sua fantasia.
Nicola Mameli
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