Fahrenheit 365 è un cantiere di scrittura, nel senso che si sa quando si comincia, ma non si sa quando finisce. L’anno accademico inizia a ottobre e termina a luglio, ma si può iniziare in qualunque momento. Il Cantiere non chiude mai: nei mesi estivi si lavora a...

Il maestro

Dodici ciliegie piccole e rosse sopra tre piatti bianchi impilati e un paio di occhiali da sole sul piano di legno scuro, tutto quello che possiedo. Poi ci sono le illusioni. Ho le tasche piene d’illusioni. E ne ho in ogni borsa. E sulle pagine scritte a mano che conservo nelle borse e nelle tasche. Ho la testa piena d’illusioni. Ronzano come mosche fastidiose, entrano dalle orecchie e escono dalla bocca quando scherzo, insegno o prego. Vivo d’illusioni.
Ieri mi ha sorriso, e sul momento non le ho dato peso. La notte, però, da quel sorriso è nata una nuova illusione, che ora ronza forte, come una mosca più fastidiosa delle altre.  Lo specchio  mostra un vecchio ma mi ostino a non vederlo. Anche questa è un’illusione, e cioè che quello che mostra lo specchio non sia io. E invece lo sono. Un vecchio. Un vecchio illuso. Datemi uno scacciamosche e vi giuro che le scaccio quelle maledette mosche e così domani sarà tutto diverso. Si, farò proprio così, abbatterò ogni illusione, strapperò quelle maledette pagine, svuoterò le tasche e le borse, poi le strapperò, le sminuzzerò, le radunerò dentro un vecchio secchio di latta, le affogherò con lo spirito, accenderò un fiammifero e darò fuoco a tutto. Poi aspetterò che le ceneri diventino fredde, aprirò la finestra e le getterò al vento ma non tutte assieme. Anzi, ne getterò una manciata da ogni finestra, si sparpaglieranno ai quattro venti, nei quattro lati del palazzo, nei quattro angoli della via, ai quattro punti cardinali del mio zenit, tolemaica convinzione d’essere un punto cruciale.  E le scaglierò lontano in quattro ore diverse di quattro giorni differenti. Prima però mangerò quattro  ciliegie e impasterò e appesantirò coi noccioli ogni singola manciata. E per tre giorni terrò chiuse le finestre affinché neanche un briciolo d’illusione possa tornare indietro, strofinerò le scarpe tre volte sullo zerbino prima di entrare in casa e poi lo spazzerò tre volte con tre scope diverse. E mi laverò sei volte le mani con il sapone di Marsiglia ogni volta che lo sguardo mi cadrà sul vecchio secchio di lamiera, e per sei volte aprirò e chiuderò gli occhi dinnanzi allo specchio per essere certo di quello che mostra. E allora, riconoscendomi in quel vecchio potrò finalmente ascoltare senza che dalle orecchie entrino altre mosche fastidiose. Potrò guardarmi attorno e sostenere sguardi e sorrisi per poi farli scivolare via. Potrò abbracciare senza rubare calore, evocare un profumo e subito riporlo in un vecchio cassetto della memoria, gustare il sapore di un bacio fresco e morbido sulla guancia e rispondere bentornata come niente fosse. La notte potrò abbracciare il cuscino come quando ero bambino e seraficamente abbandonarmi al sonno.  E delle tre età realizzarne l’ultima, lenta e solitaria, e dei dodici mesi riconoscermi alla fine e indossare la maglia di lana, delle quattro stagioni apprezzare l’autunno colle foglie color della terra. Ecco cosa farei se voi mi allungaste uno scacciamosche. Ma in tutta coscienza vi chiedo se voi, al posto mio, lo accettereste quello scacciamosche. Perché sono convinto che nel profondo, ognuno di voi abbia uno spirito tolemaico. E allora, vi chiedo, è proprio necessaria questa fatica? Questa lotta contro l’umana necessità di sognare? Il sogno, il sogno e non il sonno ritempra lo spirito. Nel sogno si costruiscono i passi del giorno che verrà. E allora, capite bene che a dormire è solo il vostro corpo, ma il cuore non si riposa mai. Anzi, cerca soprattutto di notte, quando è solo e nessuno lo sente, cerca di battere con un ritmo diverso, insegue uno sguardo, un sorriso, un bacio, un gesto qualunque che possa scaldarlo. Se sollevo la testa riesco a vedere il mio zenit, lì, oltre le nuvole, sopra il volo di un uccello migratore, fra le stelle. Ma non lo faccio, non voglio farlo perché lassù sarei solo. Preferisco scavare a mani nude e sudare e insudiciarmi i vestiti per giungere al mio nadir. Voglio essere un verme che scava e morde ogni briciola di terra, voglio assaporare tutto quello che mi si para davanti, strusciare fin dentro le viscere del suolo e riconoscere un passo dalle vibrazioni. I vostri passi, le vostre vibrazioni. È sbagliato? Non importa. Chi punterà il dito? Voglio fissarvi negli occhi e chiedervi se siete rimasti un giorno intero senza mangiare, senza camminare, parlare, ascoltare un suono, sentire un profumo. Voglio sfidarvi, proprio a voi che state leggendo o ascoltando queste parole a rispondermi che si, lo avete fatto, convinti di essere in questo migliori di me. Ma, attenti, perché alla fine vi chiederò se anche in quel giorno, soprattutto in quel giorno, abbiate potuto fare a meno dell’amore. E non dico per tutto il giorno, ma anche semplicemente per un’ora, un minuto, un misero secondo. Se uno solo di voi ha potuto fare questo, dimenticare l’amore, allora vi giuro che domani userò quello scacciamosche senza pietà. Ma domani. Per oggi lasciatemi vivere l’illusione nata dal suo sorriso. 
Non so se sia bella o giovane, ma lì, in mezzo a voi, mentre spiegavo l’etica e l’utilitarismo, per un attimo i nostri sguardi si sono incontrati. E lei mi ha sorriso.

Nessun commento:

Posta un commento